Il viaggio

Tutti seduti, tutti in silenzio. Capelli brizzolati, pettinati in avanti e chierica su una faccia che dimostra piú di 57 anni. Mocassini marroni calzini Bordeaux, pantaloni larghi di jeans marroni e camicia pesante grigia finta- logora. Con una mano regge uno zaino e l’altra, dopo aver accuratamente ispezionato le narici, fa la spola tra l’orecchio, una grattati a in testa e un’ispezione visiva dei risultati.

Le porte si aprono e si chiudono. Salgono e scendono persone.

Sguardo fisso davanti è giovane, bionda e alta. Ha dei jeans strappati al ginocchio ed una borsa elegante marrone. Indossa un maglione bianco di quelli con le treccie. In una mano tiene saldo il cellulare e l ‘altra tortura le sue labbra chiare. Qualcuno si alza e guadagna le vicinanze della porta.

Le porte si aprono. Siamo fermi. Un annuncio.

È entrato un fiume di persone. Tutti si guardano intorno alla ricerca dello spazio più ampio, della posizione più comoda. Le porte si chiudono. Qualcuno parla con il proprio compagno di viaggio, altri si avvicinano a chi, seduto, fa i preparativi per alzarsi. È autunno e la varietámdelle persone è ancora più evidente dalla varietámdelle dei vestiti. Ci sono ragazze con magliette sbracciate, turisti in maniche corte, felpe sulle spalle e borse a tracolla. Ma anche chi indossa giacche o gubbini su camicie. Sempre presenti qualche esemplare in giacca e cravatta, o tailleur e camicetta bianca.

Ogni frenata fa ondeggiare le teste come una prateria di posidonie in fondo al mare. Gli sguardi si aggirano per ostentare indifferenza, sono fissi ed assorti in chissà quali pensieri mattutini e c’è anche chi dorme. Tranne chi sale insieme con qualcuno, stiamo tutti in silenzio. È come se fosse un ristorante affollato dove tutti zittì si mangia solamente: impensabile.

Forse è ancora l’insonnolimento mattutino, forse é il viaggio che porta al lavoro. Sembriamo silenziosi animali che viaggiano verso la loro ultima destinazione.

Si aprono le porte e d’improvviso scendono molte persone. È l’abitudine ed il ripetersi di un rito quotidiano che ha svegliato loro e li ha fatti scattare verso la scala mobile più vicina.

Le porte si chiudono e si riparte. C’è chi telefona e chi sente la musica. Un’altra signora al telefono: “Alfo! Ciao”, “ti volevo dire, mi raccomando, sai, per la cosa di oggi…”, “eh si! Appunto, fai attenzione … Ti volevo salutare, In bocca al lupo. Ciao!” Un messaggio annuncia la mia fermata, mi alzo ed anch’io guadagno l’uscita.

Tutti seduti, tutti in silenzio. Capelli brizzolati, pettinati in avanti e chierica su una faccia che dimostra piú di 57 anni. Mocassini marroni calzini Bordeaux, pantaloni larghi di jeans marroni e camicia pesante grigia finta- logora. Con una mano regge uno zaino e l’altra, dopo aver accuratamente ispezionato le narici, fa la spola tra l’orecchio, una grattati a in testa e un’ispezione visiva dei risultati.

Le porte si aprono e si chiudono. Salgono e scendono persone.

Sguardo fisso davanti è giovane, bionda e alta. Ha dei jeans strappati al ginocchio ed una borsa elegante marrone. Indossa un maglione bianco di quelli con le treccie. In una mano tiene saldo il cellulare e l ‘altra tortura le sue labbra chiare. Qualcuno si alza e guadagna le vicinanze della porta.

Le porte si aprono. Siamo fermi. Un annuncio.

È entrato un fiume di persone. Tutti si guardano intorno alla ricerca dello spazio più ampio, della posizione più comoda. Le porte si chiudono. Qualcuno parla con il proprio compagno di viaggio, altri si avvicinano a chi, seduto, fa i preparativi per alzarsi. È autunno e la varietámdelle persone è ancora più evidente dalla varietámdelle dei vestiti. Ci sono ragazze con magliette sbracciate, turisti in maniche corte, felpe sulle spalle e borse a tracolla. Ma anche chi indossa giacche o gubbini su camicie. Sempre presenti qualche esemplare in giacca e cravatta, o tailleur e camicetta bianca.

Ogni frenata fa ondeggiare le teste come una prateria di posidonie in fondo al mare. Gli sguardi si aggirano per ostentare indifferenza, sono fissi ed assorti in chissà quali pensieri mattutini e c’è anche chi dorme. Tranne chi sale insieme con qualcuno, stiamo tutti in silenzio. È come se fosse un ristorante affollato dove tutti zittì si mangia solamente: impensabile.

Forse è ancora l’insonnolimento mattutino, forse é il viaggio che porta al lavoro. Sembriamo silenziosi animali che viaggiano verso la loro ultima destinazione.

Si aprono le porte e d’improvviso scendono molte persone. È l’abitudine ed il ripetersi di un rito quotidiano che ha svegliato loro e li ha fatti scattare verso la scala mobile più vicina.

Le porte si chiudono e si riparte. C’è chi telefona e chi sente la musica. Un’altra signora al telefono: “Alfo! Ciao”, “ti volevo dire, mi raccomando, sai, per la cosa di oggi…”, “eh si! Appunto, fai attenzione … Ti volevo salutare, In bocca al lupo. Ciao!” Un messaggio annuncia la mia fermata, mi alzo ed anch’io guadagno l’uscita.

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