L’arte di non morire

Frugando tra i vecchi libri di mio padre ho trovato un testo del dott.ANONIMUS (come si firma) che affronta il tema della durata della vita. E’ curioso e spunto di molte riflessioni sopratutto pensando che è un testo anonimo pubblicato il 20 Gennaio del 1942!

L’esistenza umana

Una spirito analitico e misantropo diceva che l’esistenza umana è composta giusto di tre anni di felicità diluiti in sessanta od ottant’anni d’affanni e noie.
Che sia amara, lo dicono tutti; eppure non possiamo pensare, se non con angoscia, al momento in cui la coppa ci verrà strappata.
E in tutti i tempi il dono del Cielo più d’ogni altro grato è stato sempre la vita lunga.
E’ il compenso supremo che il Sommo Legislatore assegna tanto ai sensi delle leggi antiche, quanto a quelli delle nuove.
Salomone chiese soltanto il dono della saggezza, non osò chiedere anche quello della longevità; e Dio lo lodò.
I casi di estrema longevità hanno sempre suscitato meraviglia universale.
Roma e Atene registravano nei fasti, cioè tra i sommi avvenimenti ricordati nel calendario compilato dai pontefici, la vita dei loro centenari.
Considerate dal punto di vista filosofico, queste esistenze fenomenali non sono, come si potrebbe credere, risultati d’un mero gioco di casi, sviste o dimenticanze della morte.
Sono casi prettamente provvidenziali.
Infatti con essi Dio infonde speranza e coraggio nell’animo dei vecchi che, giunti al termine della
esistenza media, temono di non poter campare oltre.
Così non v’è mai per l’uomo un’età veramente estrema: il vegliardo, per quanto vecchio, sa sempre che altri hanno vissuto di più.

‘Grazie a Matusalemme’, diceva Montaigne, ‘anche il vecchio più decrepito può credere d’avere ancora vent’anni davanti a sé’.
Da sola, dunque, l’età non è mai limite assoluto.
Per quanto tarda, l’uomo può sempre superarla non però in ogni esistenza, e non mai senza particolari precauzioni e riguardi.
Nel più dei casi solo esseri in qualche modo privilegiati riescono a superare di molto il termine medio dell’esistenza: e questi sono i rari nocchieri più di tutti destri nell’evitare scogli e traversie.
E’ credenza tuttora diffusa che ai primi evi la nostra terra, più giovane e più feconda d’elementi vitali, generasse uomini molto più robusti e longevi di noi.

La durata degli anni nel tempo

La nostra immaginazione si diletta sempre con cose meravigliose. Chi si domanda se è proprio vero che i patriarchi biblici campassero parecchi secoli? Tradizioni millenarie lo hanno affermato e pochi, tra i credenti lo hanno dubitato negli anni. Solo da poco la scienza ha dimostrato che a quei tempi gli anni non erano calcolati come i nostri: l’intera cronologia era differente.
Hensler ipotizzarono ad inizio secolo che in molte regioni dell’Asia minore e particolarmente nella Palestina, già in epoca anteriore a quella d’Abramo l’anno era lungo solo tre mesi. Successivamente l’anno diventò di otto mesi ma assai dopo l’epoca dei patriarchi; e solo dopo l’era di Giuseppe, ministro dei Faraoni, si prese ad allungare l’anno sino a dodici mesi.
Quindi anche l’età di Matusalemme potrebbe essere stata molto meno straordinaria di quanto non sembri.
Ad ogni modo non c’è bisogno di cercare tanto lontano per avere esempi di longevità. Nel 1801, ad esempio, morì un soldato russo che aveva fatto la Guerra dei Trent’anni: vecchio giusto 200 anni!
Possiamo dunque dire che fin dal principio della storia umana, e s’intende quella proprio storica, la vita umana, in media, è stata sempre lunga allo stesso modo.

Esempi di longevità

‘Solitamente gli anni della nostra vita non giungono che a settanta’ diceva il Re Profeta. ‘Se ne possono vivere di più, ma sono sempre più dolorosi, e solo i forti vi reggono’.
Plinio menziona un censimento fatto sotto l’imperatore Vespasiano, dal quale sarebbe risultato che pure a quei tempi, proprio come ai nostri, il fatto che un uomo giungesse all’età di cent’anni era raro quanto straordinario.
Tuttavia senza risalire così indietro nei secoli, già nella cosiddetta epoca contemporanea troviamo casi numerosi di longevità che, al confronto della vita comune, possono sembrare addirittura prodigiosi.
Eccone alcuni:
Nei pressi di Sainte Colombe (alta Garonna) morì nell’anno 1838 una donna nubile, di nome Maria Priou, vecchia di 158 anni. A sessant’anni, certa che non le sarebbe rimasto molto da campare, aveva venduto le sue proprietà e versato l’intero ricavo a fondo perduto. Questa è la massima longevità registrata in Francia.
A Toledo il 6 Febbraio 1846, lo Stato Civile registro il decesso di una donna di 150 anni.
Nel Dicembre del 1839 l’uomo più vecchio della Germania era, secondo l’Osservatore di Trieste, un certo Hans Hertz, residente a Hildgssen in Slesia che aveva 142 anni.
Il chirurgo Politman, morto a Vandemont in Lorena nell’ottobre del 1825, ne aveva 140.
Il noto medico M.Dufournel, morto a Parigi nel 1810, aveva 120 anni. A cento gli si era fratturata una gamba successivamente perfettamente rinsaldata. Nel Marzo del 1870 un veterano agricoltore morì a Saint-Cernin anch’esso a 120 anni. Nel 1883 un’altro agricoltore di nome Dando morì a Lubiac dopo aver raggiunto la stessa età.
Mentre il 22 maggio 1865 a Thenezay (Deux-Sevres) morì Maria Mallet compiuti da poco i 115 anni. Lei a 110 ancora cucinava senza bisogno degli occhiali.


Ora ci limiteremo a riferire, senza nulla garantire, i casi più o meno autentici che si ritrovano in quasi tutti i trattati di macrobìa.

Samit Mungo, scozzese, e Peter Czarten, ungherese, morirono entrambi a 195 anni; Henrgz Ienkins, inglese, a 160 anni, il tedesco (Giorgio Wunder a 136, l’austriaco Mittelstadt a 125, lo svedese Douglas Gurgen a 120, la russa Mairia Willamof a 115.
Il più celebre questi macrobici è Thomas Parre. Questi vide susseguirsi sul trono d’Inghilterra ben nove sovrani. A 103 anni ancora accudiva alle sue faccende, ancora trebbiava il suo grano. Aveva giusto compiuto 152 anni quando il re Carlo II volle festeggiarlo, e tanto lo festeggio, che il povero vecchio morì.
Infatti l’autopsia eseguita dal celebre chirurgo Harvefr, dimostrò che a cagionare la morte era stata una indigestione. Causa puramente accidentale, dunque, vale a dire che se alla mensa regale non avesse mangiato tanto, L’eccezionale vegliardo forse avrebbe potuto vivere molti anni ancora. Il secolo XVIII pure ebbe molti centenari.
Rileviamo dalle gazzette dell’epoca i casi più singolari ed esemplari.
27 gennaio 1702 – a Smirne Francesco Hongo muore all’età di 114 anni. Non beveva mai altro che un decotto di scorzanera.
1721 – Un certo Aubry, vecchio d’oltre 116 anni, muore a Nancy. Colpito dal vaiolo a 104 anni, ne era guarito perfettamente.
Aprile 1726. – Giovanni d’Outrengo, coltivatore residente a Fesignan, Galizia, muore all’età di 147 anni. Non si cibava quasi mai d’altro che di farina di mais.
17 agosto 1737. – A 110 anni la vedova di Paolo il Bello, principe di Bussy, muore per una caduta. Il paniere della sua gonna, quello sbuffo che il costume muliebre del settecento sempre più gonfiava per meglio assottigliare il busto e la vita, l’aveva fatta incespicare.
2 febbraio 1755. — Morte della vedova Legier, 107enne. In tutta la sua vita non aveva mai calzato scarpe: andava scalza anche d’inverno, nei giorni più rigidi.
28 aprile 1756.Giovanni Pietro Mendez di Albufera (Spagna), muore a 130 anni. Ancora nell’ultimo anno di vita la sua vista gli permetteva di ammazzare lepri a caccia.
21 dicembre 1756. – Giovanni Maulmy muore a 119 anni, undici mesi e undici giorni. Si cibava unicamente di pane e fave cotte; non beveva altro che acqua. Due anni prima della sua morte, egli, percorreva a cavallo parecchie leghe ogni, giorno. Nessuno mai lo aveva visto adirarsi.
3 gennaio 1757. – Morte dell’ufficiale inglese Wilkins, centenario. Per cinquant’anni e mezzo era vissuto in prigionia.
19 marzo 1759. – Angelica di Lozirtigne muore a 106 anni, cacciatrice intrepida.
10 aprile 1759. – A Neufchatel Guglielmo Cartier muore all’età di 108 anni. Quando si ammalava, qualunque fosse il suo male, beveva la sua urina: era il suo unico rimedio.
9 gennaio 1760. — Morte di Crikion, zoccolaio di Ligi. A 103 anni aveva sposato una fanciulla di 15.
20 novembre 1760. – A Filadelfia un certo Cottrel muore a 120 anni. Sua moglie che ne aveva 115, non gli sopravvisse che per tre giorni. La loro vita coniugale, sempre esemplare per armonia, saldezza e moralità, era durata 98 anni.
24 febbraio 1763. – Morte di Cadet, donna nubile, nata a Vitry-le-Francais nel 1663. A 80 anni saltò dall’alto d’una scala a pioli. Perché? le si domandò. Per far saltare i miei anni, rispose ridendo l’ottuagenaria che, ancora agilissima nulla avev sofferto dal suo salto.
16 febbraio 1765. – Giovanni Antonio Bondini, medico italiano, muore a Carcheto nel suo 117° anno. Aveva esercitato la sua professione per oltre novantiacinque anni.
18 febbraio 1767. – Abramo Favrot muore a 104 anni nel suo villaggio natvo d’Onex (Svizzera). Aveva sempre la pipa in bocca.

Longevità e vita media

Ora vediamo i tempi vicini a noi. Sono così frequenti ancora i casi di longevità prodigiosi? E in media la nostra vita tende a prolungarsi o ad abbreviarsi?

E’ convinzione diffusa, chissà perché, che i nostri avi facessero vita più sana, in condizioni più salubri, e che fossero molto più di noi robusti e vitali.
Le statistiche, invece, come vedremo in seguito, dimostrano nel modo più indubbio che, quanto a sanità e vitalità, non abbiamo proprio nulla da invidiare ai secoli passati. D’altra parte il solo numero dei vecchi non basta a stabilire la vitalità d’un popolo: per quanto numerosi e avanti negli anni, essi non costituiscono mai un indice sicuro di grande vitalità generale.
Infatti nonostante l’esistenza di molti vecchi d’oltre cent’anni, la vitalità media della popolazione può essere piuttosto bassa, e viceversa.
Se non vi fosse più un sol centenario al mondo, ciò non significherebbe necessariamente che la nostra vita sia abbreviata.
Ora le statistiche dimostrano che la vita media, non che abbreviarsi, si prolunga sempre più, e che ciò avviene già da parecchi secoli.
Io ho potuto constatare che a Digione, per esempio, la vita media limitata a 24 anni e 4 mesi sino al settecento, è salita a 30 anni e 8 mesi nell’ottocento, e ora a 38 anni e 9 mesi. Non meno notevole è il progresso della vita probabile, vale a dire l’età massima che ciascuno può raggiungere con probabilità. Nel settecento a Digione non si poteva dare a un neonato più di undici anni di vita probabile. Nell’ottocento gli si poteva darne 22; ora 37 e mezzo.
Nel settecento metà delle nuove generazioni perivano prima dell’età di 12 anni. Dopo 47 anni solo un quarto sopravviveva; e dopo 55 solo un quinto.
Nel secolo seguente la proporzione di vivi aumentò. Ora dopo 38 anni, metà della generazione è ancora viva. Un quarto giunge normalmente all’età di 69 anni e un quinto passa i settanta. In questi ultimi tre secoli dunque la vita probabile alla nascita è più che triplicata.

Solo per I vecchi d’oltre settant’anni le probabilità di vita sono diminuite.

Varcare il secolo, a quanto pare, è di più in giù difficile.

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