Il bisogno della sofferenza

2005 Cile

Mentre facevo la terapia, in ospedale ho letto, su uno di quei giornali che ti aspetti di trovare dal barbiere, che l’allenatore della Pellegrini, Philippe Lucas, un personaggio con una biografia non molto invidiabile, ha affermato in una intervista: “soffrire è fondamentale per vincere. A qualcuno non piace? È un problema suo”.

Mi sono ricordato di una discussione fatta pochi giorni prima con alcuni miei amici che erano venuti a farmi visita. La madre di un bambino aveva detto che a suo figlio piaceva molto giocare con me, infatti ogni volta che ci vediamo ci sfidiamo su videogiochi, mentre con loro non è la stessa cosa.
Le ho risposto che per me è molto semplice: io gioco con lui per divertirmi e non per farlo divertire, quindi gioco per vincere, nelle regole, ma a tutti i costi considerandolo un avversario da battere.
Anatema! Sono stato criticato, da un’altra amica, come troppo repressivo ed esageratamente duro. Ha detto che così faccio soffrire inutilmente i bambini. Secondo lei si crea il mito del genitore superuomo che nel tempo o inibisce oppure, quando si cresce, genera delle delusioni verso la figura adulta e delle crisi.
Io non sono d’accordo. Gli adulti sono adulti e i bambini sono bambini, l’importante è che gli adulti si relazionino con i bambini come tali e non come attori che fingono di essere bambini. Secondo me il problema è negli adulti che non sanno essere tali.
Io da piccolo ero contento di giocare con mio papà, era diverso rispetto a quando giocavo con i miei amici, ma era ugualmente divertente: quando si faceva la lotta vinceva sempre lui, ma era ovvio: era più forte e più grosso, io non vincevo mai, al più lui si arrestava e ridevamo. Ma era normale, sarebbe stato ridicolo se io avessi battuto lui.
La sofferenza di queste situazioni per me è educativa permette di esercitare aspetti come la costanza, la concentrazione, la volontà che altrimenti la vita stessa ci farà affrontare trovandoci del tutto impreparati.
La vittoria facile non esiste e far crescere le nuove generazioni facilitandole loro “vittorie” o semplificando la strada per il loro successi non ne farà altro che una generazione di frustrati quoando non avranno più dietro di sé tali facilitatori.

2005 Cile

Mentre facevo la terapia, in ospedale ho letto, su uno di quei giornali che ti aspetti di trovare dal barbiere, che l’allenatore della Pellegrini, Philippe Lucas, un personaggio con una biografia non molto invidiabile, ha affermato in una intervista: “soffrire è fondamentale per vincere. A qualcuno non piace? È un problema suo”.

Mi sono ricordato di una discussione fatta pochi giorni prima con alcuni miei amici che erano venuti a farmi visita. La madre di un bambino aveva detto che a suo figlio piaceva molto giocare con me, infatti ogni volta che ci vediamo ci sfidiamo su videogiochi, mentre con loro non è la stessa cosa.
Le ho risposto che per me è molto semplice: io gioco con lui per divertirmi e non per farlo divertire, quindi gioco per vincere, nelle regole, ma a tutti i costi considerandolo un avversario da battere.
Anatema! Sono stato criticato, da un’altra amica, come troppo repressivo ed esageratamente duro. Ha detto che così faccio soffrire inutilmente i bambini. Secondo lei si crea il mito del genitore superuomo che nel tempo o inibisce oppure, quando si cresce, genera delle delusioni verso la figura adulta e delle crisi.
Io non sono d’accordo. Gli adulti sono adulti e i bambini sono bambini, l’importante è che gli adulti si relazionino con i bambini come tali e non come attori che fingono di essere bambini. Secondo me il problema è negli adulti che non sanno essere tali.
Io da piccolo ero contento di giocare con mio papà, era diverso rispetto a quando giocavo con i miei amici, ma era ugualmente divertente: quando si faceva la lotta vinceva sempre lui, ma era ovvio: era più forte e più grosso, io non vincevo mai, al più lui si arrestava e ridevamo. Ma era normale, sarebbe stato ridicolo se io avessi battuto lui.
La sofferenza di queste situazioni per me è educativa permette di esercitare aspetti come la costanza, la concentrazione, la volontà che altrimenti la vita stessa ci farà affrontare trovandoci del tutto impreparati.
La vittoria facile non esiste e far crescere le nuove generazioni facilitandole loro “vittorie” o semplificando la strada per il loro successi non ne farà altro che una generazione di frustrati quoando non avranno più dietro di sé tali facilitatori.

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