Sto trascorrendo le mie vacanze in Giappone. Visitare un nuovo paese, incontrare persone differenti, anche con abitudini e modi di fare molto lontani dai soliti, porta a riflettere e fare confronti. Ma voglio essere attento e non cadere in infantili paragoni del tipo “Che bello vorrei vivere qui”. Queste sono trappole. Perchè dietro all’entusiasmo per il posto “bello” si nasconde la certezza che mai si farà qualcosa per “vivere qui”. La trappola è scattata, la scomodità di mettermi in discussione attraverso quello che vedo è già allontanata; sono salvo non devo scomodarmi per cambiare perché il cambiamento si può attuare solo se “vivo qui”.
Appunto trappole da evitare.
Una delle prime cose che colpisce di questo paese è la pulizia. Tokyo, con i suoi milioni di abitanti (mi sembra 13 in città e 35 nel distretto) è incredibilmente pulita e non è facile trovare un posto dove buttate della spazzatura. In giro si vedono spesso persone armate di scopa e raccoglitore che spazzano via anche quelle che sono imperfezioni rispetto alla strada. Foglie secche, piccoli frammenti di carta volati via da chissà dove, un biglietto della metro sfuggito di mano a qualche impiegato frettoloso. Lo fanno con serietà, con attenzione, con lo sguardo volto a terra per non farsi sfuggire nulla. Mi è venuta in mente la signora dell’AMA che, a Roma di fronte alla stazione della Metro di Rebibbia, muoveva in modo automatico la scopa a destra e sinistra, percorrendo tutto il marciapiede. Intanto parlava al telefono e, si era costretti a sentire dal tono della voce, raccontava quello che aveva fatto la domenica, quello che voleva cucinare e dava consigli su come fare un certo piatto. Ogni tanto si fermava e gesticolava, come se avesse di fronte il suo interlocutore. Sotto al suo sguardo, mozziconi, carte di gelato, buste di plastica e anche una lattina di birra venivano sparse qua e là dai movimenti ritmati della scopa. Pochi resti finivano nel raccoglitore con l’ultimo gesto di scopa.
Ho fatto un paragone simile su Facebook e Monica, una mia amica, mi ha rimproverato ricordandomi che non è tutto così bello, che anche qui la vita aliena le persone tanto che c’é un elevato numero di suicidi. Insomma mi ha sconsigliato di volerci venire a vivere. No Monica, forse nelle frettolose righe di Facebook mi sono spiegato male, non sto dicendo e non voglio dire “Che bello vorrei vivere qui”. Sono catturato dalla dignità con cui in Giappone si considera il lavoro. Parlo della dignità del lavoro, non del diritto al lavoro né tantomeno di dove io voglia lavorare.
Qui le persone che fanno un lavoro, non importa se umile o di rappresentanza, lo fanno come se fosse la cosa più importante del mondo. Lo fanno perché è dignitoso il loro modo di farlo e non il lavoro in sé. Ecco che il bigliettaio o il controllore che è fermo al tornello della metro, ha uno sguardo fiero e controlla cosa accade. Questo perché LUI è li e LUI fa la differenza di un lavoro fatto bene o male. Non può non farmi venire alla mente i controllori della stazione di Magliana, dove sotto al loro sguardo assente, quando non sono al telefono o a chiacchierare tra loro, passano due tre alla volta senza biglietto. Oppure alle loro spalle, si alla sinistra della camionetta dell’esercito o dei carabinieri messi a controllare scavalcano il cancello due ragazzi.
Noi abbiamo troppo spesso in concetto implicito del lavoro che è una rivisitazione della definizione di lavoro secondo Marx. Per noi, o molti di noi, il lavoro è uno scambio del nostro tempo col datore di lavoro. Per questo scambio veniamo pagati, non è nostra responsabilità se il lavoro viene fatto bene o meno. La qualità del lavoro è demandata all’organizzazione del lavoro e il fatto che il singolo lavoratore sia una parte soltanto del tutto lo deresponsabilizza dalla qualità del suo lavoro, perché questo viene valutato su scala generale e la singola attività è poco influente.
Ecco quindi che se l’Università va male, non è certo colpa di quei quattro impiegati, di cui parlavo su Facebook, che non mi si filavano quando sono arrivato allo sportello ed ho detto loro “Buongiorno”. L’Università va male perché la riforma é sbagliata, perché il Rettore ha organizzato male il lavoro, perché ci sono i baroni. Tutto vero, ma tutte trappole. La verità che nessuno vuole sentirsi dire é che l’Università andrebbe un po’ meglio se invece di quattro impiegati che non danno retta a chi entra, ce ne fosse uno pronto a rispondere a chi chiede informazioni.
Io questo voglio portarmi a casa del Giappone e metterlo nel MIO lavoro. Nulla di più vago e niente di meno concreto. Poi quello che fanno gli altri e dove lo fanno, non posso cambiarlo più di tanto e non so in quale altro modo se non con l’esempio.