In questi giorni ho avuto modo di apprezzare i molteplici usi che si possono fare di un tablet collegato in rete. L’ho utilizzato per leggere libri, vedere notiziari, giocare, ascoltare la radio, la musica e gli audiolibri; per studiare, per fare ricerche e per le attività di gestione domestica delle utenze e del conto in banca. Penso che senza, nella mia attuale condizione vacillante tra malato e convalescente, non avrei mai potuto fare tutte queste cose, ma sopratutto non le avrei potute fare con l’autonomia che il tablet mi ha permesso.
Questo entusiasmo verso lo strumento mi colpisce; mi sento come un seguace devoto di una nuova religione. Inevitabilmente ho iniziato a riflettere.
Per prima cosa mi sono incuriosito al fenomeno ed alla nascita dello stesso. Partendo da me (dal personale), posso dire che ho comprato l’iPad della Apple a Giugno dello scorso anno per curiosità, non certo per bisogno. Mi aveva subito colpito la sua facilità d’utilizzo e l’ho definitivamente constatata quando ho visto che mia suocera, di 76 anni, stava leggendo il giornale sull’iPad da me lasciato incustodito. Lei ha sempre avuto un misto di paura e soggezione per le cose tecnologiche, figuriamoci mettere le mani su un mouse! Invece, dopo avermi visto usare l’iPad per leggere il giornale, si è lanciata in modo autonomo scavalcando qualsiasi barriera tecnologica.
Da un punto di vista più generale (il sociale) non si può non osservare che questo fenomeno, apparentemente così consolidato, è nuovissimo. Nasce nell’Aprile del 2010 con il lancio del’iPad ed il conseguente inseguimento da parte di concorrenti come Samsung, HP, Archos, Motorola ed altri; dopo solo un anno un mercato prima inesistente ora conta circa 70 milioni di utenti di cui 47 sono “devoti” iPad (vedi questo link). Se a questi numeri aggiungiamo anche i possessori di iPhone, che si basa sulla stessa piattaforma software, abbiamo 200 milioni di utenti solo per Apple (dai dati forniti dalla stessa Apple al WWDC 2011).
Oggi questo fenomeno sta prendendo sempre più piede tanto da far prevedere, a qualche analista, la scomparsa del PC. Inoltre la spinta innovativa, che si concretizza con il lancio ogni anno di nuovi dispositivi, aumenta per moda la velocità di diffusione. Questa innovazione non si ferma esclusivamente al miglioramento tecnologico dei prodotti, ma si spinge anche nel ripensamento dei modelli di distribuzione dei contenuti. Infatti tutti i produttori di questi dispositivi intelligenti, che non sono più solo telefoni o solo riproduttori di musica, mettono a disposizione, o stanno per mettere a disposizione, dei meccanismi di distribuzione di musica, libri, riviste, giornali, film ed altro che promettono di facilitare la vita a noi utenti e non solo.
Le potenzialità di questi nuovi modelli di distribuzione sono già state colte da alcune aziende, in particolare da molti giornali che hanno smesso di uscire su carta, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, e sono diventati dei giornali online; per ora con risultati altalenanti (vedi alcuni dati a questo link), ma probabilmene prendendo una strada obbligata all’alternativa della chiusura o del fallimento.
Tornando ai nostri meravilgiosi dispositivi, l’aspetto più noioso ed ostico ai più è il cordone ombelicale ancora esistente con i PC: infatti per poter suonare la mia musica, vedere le mie foto o leggere i miei libri devo possedere un PC, collegargli il dispositivo e, tramite un programma, trasferire i contenuti che voglio portarmi in giro. Questo implica due cose: un restringimento del mercato ai soli utenti possessori di un PC e una ridotta facilità d’utilizzo. Sono molti i miei amici che, una volta in possesso del tanto desiderato oggetto chiedono aiuto per inizare ad utilizzarlo.
Le nuove proposte puntano a rimovere definitivamente questo vincolo. Sono dei modelli di distribuzione che si basano sui meccanismi di Cloud Computing; ossia sul fatto che noi con i nostri dispositivi ci collegheremo, tramite Internet, a dei centri di elaborazione dati dove sarà disponibile un’enorme capacità di memorizzare dati. Quindi la nostra musica, le nostre foto non dovranno risiedere più sui nostri PC, e ne potremo disporre da qualsiasi dispositivo che si collegherà a questi centri. E’ proprio questo il concetto di Cloud Computing: a me che sono utente non è necessario (e in fondo non mi importa) conoscere o saper utilizzare la tecnologia impiegata, ma basta potermi collegare ed accedere ai miei libri o alle mie foto.
In fondo, riflettendoci, è lo stesso modello di distribuzione utilizzato dalla televisione: noi non sappiamo (e non vogliamo sapere) come funzionano i ponti radio, i trasmettitori televisivi, che formato hanno le trasmissioni; compriamo un televisore di cui impariamo l’uso del telecomando e, una volta collegato all’antenna, di cui non sappiamo nulla e che non abbiamo né scelto né comprato, noi vogliamo solo scegliere i programmi da guardare.
Ma torniamo ai nostri nuovi giocattoli. Apple ha annunciato quest’anno un servizio gratuito chiamato iCloud. Quello che attualment promette è di mantenere sicronizzati tutti i nostri dispositivi con gli stessi contenuti, ossia basta che da uno dei miei dispositivi, ad esempio dal PC carico un mio libro e lo potrò leggere anche dal mio tablet o dal mio smartphone. Quindi la mia dipendenza dal dispositivo PC per caricare i contenuti si riduce soltanto alla prima volta, ma questo non basta.
Apple ha stretto accordi con EMI, Sony, Warner, Universal (vedi link) per poter distribuire i loro cataloghi musicali tramite iCloud e tutto lo spazio per memorizzare musica acquistata da questi cataloghi sarà gratuito. Non solo, ma metterà a disposizione un servizio, a pagamento, che permetterà di fare una scansione della musica sul mio PC, riconoscere i brani che possiedo e mettermeli a disposizione su tutti i miei dispositivi senza doverli caricare. Avendo a disposizione, dalle maggiori case discografiche, un totale di circa 18 milioni di brani, praticamente non dovrò più fare dei trasferimenti dal mio PC.
E qui iniziano le mie perplessità. E’ chiaro che, per semplicità e per prezzi, sarà sempre più conveniente effettuare acquisti da questo store elettronico invece che dai negozi convenzionali, ma si possono considerare acquisti? Non voglio affrontare il discorso della pirateria e delle copie illegali, ma c’è qualcosa, in questi cambiamenti, che mi suona stonata.
Oggi io vado in libreria e compro un libro; questo significa che compro la copertina e le pagine del libro, ma anche il diritto a leggere il suo contenuto. Ossia la mia proprietà si esplicita tramite il possesso del supporto che compro. Consideriamo un’altro esempio, quando “compro” un CD in realtà il mio possesso è relativo al supporto su cui la musica è registrata perchè la musica non è mia. l’acquisto mi da il diritto solo di riprodurre a certe condizioni la musica, per esempio ad uso privato e non in uno spettacolo o in una trasmissione. Questo significa che se voglio posso prestarlo ad un amico, posso scambiarlo o posso rivenderlo come usato. La stessa cosa per un libro.
Ma se passeranno questi nuovi modelli di distribuzione io non sarò più “proprietario” di nulla, non potrò più rivendere come usate le mie cose e neanche prestarle perchè potranno essere utilizzate solo sui dispositivi registrati a mio nome.
Non solo, più acquisti faccio su questa piattaforma e più sarò legato, di conseguenza, a comprare dispositivi in grado di collegarsi con essa. In parole semplici più cose acquisto su iCloud e più sono vincolato a comprare nel tempo i dispositivi di Apple.
Inizialmente si potrebbe obiettare che questo non è vero perchè il dispositivo con cui effettuo l’acquisto resta mio e quindi con quello posso sempre accedere ai contenuti comprati. Ma è un’obiezione miope che non tiene conto dell’evoluzione congiunta tra la tecnologia dei dispositivi e quella dei programmi che in essi vengono eseguiti, significa che, uscendo un nuovo dispositivo all’anno, molto probabilmente, tra 3-4 anni o forse meno, il mio attuale iPad non sarà in grado di eseguire la maggior parte dei programmi e, anche se volessi usarlo solo per ascoltare la mia musica, dovrò sostituirlo perchè il programma per suonare la musica si sarà aggiornato, ma non potrà essere eseguito sul mio attuale iPad diventato da museo.
Questo è un fenomeno generalmente sempre più diffuso in una società basata sui consumi dove più i beni diventano inutilizzabili e più si devono ricomprare. Questo lo vediamo già in molti aspetti della nostra vita: i televisori costano molto di meno, ma questo non è un beneficio per l’utente finale perché praticamente non si riparano più e quindi si sostituiscono più spesso. Lo stesso vale per gli altri elettrodomestici e per tutti quegli oggetti di cui, in silenzio ed in modo graduale, sono spariti tutti i negozi che vendevano ricambi.
Ma in questo caso mi sembra che la situazione sia più subdola. Si trasforma in modo abbastanza esplicito il rapporto utente-azienda. Se quando acquisto un nuovo televisore posso cambiare marca, io mantengo un potere decisionale, ma se le trasmissioni che vedo si potessero vedere solo tramite alcune o una sola marca di televisori non posso fare altro che ricomprare la stessa marca.
Questo mi preoccupa. Anche se non mi è mai piaciuto, il mio potere di consumatore mi è sempre rimasto nel momento dell’acquisto, ora vedo un circuito-trappola che, se è come penso, non mi piace. Inizio comprando un dispositivo, poi grazie alla sua semplicità d’uso faccio un’abbonamento ad una rivista, compro dei libri, della musica; quando vorrò cambiarlo i miei acquisti passati mi condizioneranno nella scelta. Se cambio dispositivo, per esempio se invece che Apple prendo un dispositivo basato su Androind, perdo la mia musica, le mie riviste, i miei libri!
Se il passaggio da cliente a consumatore avvenuto nel passato (gradualmente negli anni 80 primi dei 90), ha confinato il mio potere decisionale ai momenti di sostituzione dei prodotti, ora assito ad un ulteriore passaggio da consumatore ad utente-abbonato. La mia scelta sarà sempre di più limitata a quella iniziale e poi sarà sempre più difficile, ed economicamente sconveniente, effettuarne di differenti. Siamo destinati ad un’esistenza sempre più concentrata sulla necessità del lavoro per ottenere una disponibilità economica quasi tutta già impegnata in abbonamenti, mutui, rate, bollette?
Mi ricorda il mondo di Matrix dove alle persone viene prelevata la loro linfa vitale allevandole in delle capsule, ma dandogli l’illusione di avere una vita reale.
In questi giorni ho avuto modo di apprezzare i molteplici usi che si possono fare di un tablet collegato in rete. L’ho utilizzato per leggere libri, vedere notiziari, giocare, ascoltare la radio, la musica e gli audiolibri; per studiare, per fare ricerche e per le attività di gestione domestica delle utenze e del conto in banca. Penso che senza, nella mia attuale condizione vacillante tra malato e convalescente, non avrei mai potuto fare tutte queste cose, ma sopratutto non le avrei potute fare con l’autonomia che il tablet mi ha permesso.
Questo entusiasmo verso lo strumento mi colpisce; mi sento come un seguace devoto di una nuova religione. Inevitabilmente ho iniziato a riflettere.
Per prima cosa mi sono incuriosito al fenomeno ed alla nascita dello stesso. Partendo da me (dal personale), posso dire che ho comprato l’iPad della Apple a Giugno dello scorso anno per curiosità, non certo per bisogno. Mi aveva subito colpito la sua facilità d’utilizzo e l’ho definitivamente constatata quando ho visto che mia suocera, di 76 anni, stava leggendo il giornale sull’iPad da me lasciato incustodito. Lei ha sempre avuto un misto di paura e soggezione per le cose tecnologiche, figuriamoci mettere le mani su un mouse! Invece, dopo avermi visto usare l’iPad per leggere il giornale, si è lanciata in modo autonomo scavalcando qualsiasi barriera tecnologica.
Da un punto di vista più generale (il sociale) non si può non osservare che questo fenomeno, apparentemente così consolidato, è nuovissimo. Nasce nell’Aprile del 2010 con il lancio del’iPad ed il conseguente inseguimento da parte di concorrenti come Samsung, HP, Archos, Motorola ed altri; dopo solo un anno un mercato prima inesistente ora conta circa 70 milioni di utenti di cui 47 sono “devoti” iPad (vedi questo link). Se a questi numeri aggiungiamo anche i possessori di iPhone, che si basa sulla stessa piattaforma software, abbiamo 200 milioni di utenti solo per Apple (dai dati forniti dalla stessa Apple al WWDC 2011).
Oggi questo fenomeno sta prendendo sempre più piede tanto da far prevedere, a qualche analista, la scomparsa del PC. Inoltre la spinta innovativa, che si concretizza con il lancio ogni anno di nuovi dispositivi, aumenta per moda la velocità di diffusione. Questa innovazione non si ferma esclusivamente al miglioramento tecnologico dei prodotti, ma si spinge anche nel ripensamento dei modelli di distribuzione dei contenuti. Infatti tutti i produttori di questi dispositivi intelligenti, che non sono più solo telefoni o solo riproduttori di musica, mettono a disposizione, o stanno per mettere a disposizione, dei meccanismi di distribuzione di musica, libri, riviste, giornali, film ed altro che promettono di facilitare la vita a noi utenti e non solo.
Le potenzialità di questi nuovi modelli di distribuzione sono già state colte da alcune aziende, in particolare da molti giornali che hanno smesso di uscire su carta, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, e sono diventati dei giornali online; per ora con risultati altalenanti (vedi alcuni dati a questo link), ma probabilmene prendendo una strada obbligata all’alternativa della chiusura o del fallimento.
Tornando ai nostri meravilgiosi dispositivi, l’aspetto più noioso ed ostico ai più è il cordone ombelicale ancora esistente con i PC: infatti per poter suonare la mia musica, vedere le mie foto o leggere i miei libri devo possedere un PC, collegargli il dispositivo e, tramite un programma, trasferire i contenuti che voglio portarmi in giro. Questo implica due cose: un restringimento del mercato ai soli utenti possessori di un PC e una ridotta facilità d’utilizzo. Sono molti i miei amici che, una volta in possesso del tanto desiderato oggetto chiedono aiuto per inizare ad utilizzarlo.
Le nuove proposte puntano a rimovere definitivamente questo vincolo. Sono dei modelli di distribuzione che si basano sui meccanismi di Cloud Computing; ossia sul fatto che noi con i nostri dispositivi ci collegheremo, tramite Internet, a dei centri di elaborazione dati dove sarà disponibile un’enorme capacità di memorizzare dati. Quindi la nostra musica, le nostre foto non dovranno risiedere più sui nostri PC, e ne potremo disporre da qualsiasi dispositivo che si collegherà a questi centri. E’ proprio questo il concetto di Cloud Computing: a me che sono utente non è necessario (e in fondo non mi importa) conoscere o saper utilizzare la tecnologia impiegata, ma basta potermi collegare ed accedere ai miei libri o alle mie foto.
In fondo, riflettendoci, è lo stesso modello di distribuzione utilizzato dalla televisione: noi non sappiamo (e non vogliamo sapere) come funzionano i ponti radio, i trasmettitori televisivi, che formato hanno le trasmissioni; compriamo un televisore di cui impariamo l’uso del telecomando e, una volta collegato all’antenna, di cui non sappiamo nulla e che non abbiamo né scelto né comprato, noi vogliamo solo scegliere i programmi da guardare.
Ma torniamo ai nostri nuovi giocattoli. Apple ha annunciato quest’anno un servizio gratuito chiamato iCloud. Quello che attualment promette è di mantenere sicronizzati tutti i nostri dispositivi con gli stessi contenuti, ossia basta che da uno dei miei dispositivi, ad esempio dal PC carico un mio libro e lo potrò leggere anche dal mio tablet o dal mio smartphone. Quindi la mia dipendenza dal dispositivo PC per caricare i contenuti si riduce soltanto alla prima volta, ma questo non basta.
Apple ha stretto accordi con EMI, Sony, Warner, Universal (vedi link) per poter distribuire i loro cataloghi musicali tramite iCloud e tutto lo spazio per memorizzare musica acquistata da questi cataloghi sarà gratuito. Non solo, ma metterà a disposizione un servizio, a pagamento, che permetterà di fare una scansione della musica sul mio PC, riconoscere i brani che possiedo e mettermeli a disposizione su tutti i miei dispositivi senza doverli caricare. Avendo a disposizione, dalle maggiori case discografiche, un totale di circa 18 milioni di brani, praticamente non dovrò più fare dei trasferimenti dal mio PC.
E qui iniziano le mie perplessità. E’ chiaro che, per semplicità e per prezzi, sarà sempre più conveniente effettuare acquisti da questo store elettronico invece che dai negozi convenzionali, ma si possono considerare acquisti? Non voglio affrontare il discorso della pirateria e delle copie illegali, ma c’è qualcosa, in questi cambiamenti, che mi suona stonata.
Oggi io vado in libreria e compro un libro; questo significa che compro la copertina e le pagine del libro, ma anche il diritto a leggere il suo contenuto. Ossia la mia proprietà si esplicita tramite il possesso del supporto che compro. Consideriamo un’altro esempio, quando “compro” un CD in realtà il mio possesso è relativo al supporto su cui la musica è registrata perchè la musica non è mia. l’acquisto mi da il diritto solo di riprodurre a certe condizioni la musica, per esempio ad uso privato e non in uno spettacolo o in una trasmissione. Questo significa che se voglio posso prestarlo ad un amico, posso scambiarlo o posso rivenderlo come usato. La stessa cosa per un libro.
Ma se passeranno questi nuovi modelli di distribuzione io non sarò più “proprietario” di nulla, non potrò più rivendere come usate le mie cose e neanche prestarle perchè potranno essere utilizzate solo sui dispositivi registrati a mio nome.
Non solo, più acquisti faccio su questa piattaforma e più sarò legato, di conseguenza, a comprare dispositivi in grado di collegarsi con essa. In parole semplici più cose acquisto su iCloud e più sono vincolato a comprare nel tempo i dispositivi di Apple.
Inizialmente si potrebbe obiettare che questo non è vero perchè il dispositivo con cui effettuo l’acquisto resta mio e quindi con quello posso sempre accedere ai contenuti comprati. Ma è un’obiezione miope che non tiene conto dell’evoluzione congiunta tra la tecnologia dei dispositivi e quella dei programmi che in essi vengono eseguiti, significa che, uscendo un nuovo dispositivo all’anno, molto probabilmente, tra 3-4 anni o forse meno, il mio attuale iPad non sarà in grado di eseguire la maggior parte dei programmi e, anche se volessi usarlo solo per ascoltare la mia musica, dovrò sostituirlo perchè il programma per suonare la musica si sarà aggiornato, ma non potrà essere eseguito sul mio attuale iPad diventato da museo.
Questo è un fenomeno generalmente sempre più diffuso in una società basata sui consumi dove più i beni diventano inutilizzabili e più si devono ricomprare. Questo lo vediamo già in molti aspetti della nostra vita: i televisori costano molto di meno, ma questo non è un beneficio per l’utente finale perché praticamente non si riparano più e quindi si sostituiscono più spesso. Lo stesso vale per gli altri elettrodomestici e per tutti quegli oggetti di cui, in silenzio ed in modo graduale, sono spariti tutti i negozi che vendevano ricambi.
Ma in questo caso mi sembra che la situazione sia più subdola. Si trasforma in modo abbastanza esplicito il rapporto utente-azienda. Se quando acquisto un nuovo televisore posso cambiare marca, io mantengo un potere decisionale, ma se le trasmissioni che vedo si potessero vedere solo tramite alcune o una sola marca di televisori non posso fare altro che ricomprare la stessa marca.
Questo mi preoccupa. Anche se non mi è mai piaciuto, il mio potere di consumatore mi è sempre rimasto nel momento dell’acquisto, ora vedo un circuito-trappola che, se è come penso, non mi piace. Inizio comprando un dispositivo, poi grazie alla sua semplicità d’uso faccio un’abbonamento ad una rivista, compro dei libri, della musica; quando vorrò cambiarlo i miei acquisti passati mi condizioneranno nella scelta. Se cambio dispositivo, per esempio se invece che Apple prendo un dispositivo basato su Androind, perdo la mia musica, le mie riviste, i miei libri!
Se il passaggio da cliente a consumatore avvenuto nel passato (gradualmente negli anni 80 primi dei 90), ha confinato il mio potere decisionale ai momenti di sostituzione dei prodotti, ora assito ad un ulteriore passaggio da consumatore ad utente-abbonato. La mia scelta sarà sempre di più limitata a quella iniziale e poi sarà sempre più difficile, ed economicamente sconveniente, effettuarne di differenti. Siamo destinati ad un’esistenza sempre più concentrata sulla necessità del lavoro per ottenere una disponibilità economica quasi tutta già impegnata in abbonamenti, mutui, rate, bollette?
Mi ricorda il mondo di Matrix dove alle persone viene prelevata la loro linfa vitale allevandole in delle capsule, ma dandogli l’illusione di avere una vita reale.