Anche oggi in ufficio con la metro, solo posto in piedi. Davanti a me una ragazza, che quando la vedi non ti viene certo in mente l’aggettivo alto. In piedi alla mia sinistra, una signora con un impermeabile legge un libro. L’autunno è una stagione strana e quest’anno ancor di più, la mattina l’abbigliamento ti dice cosa faranno. Il ragazzo in maglietta torna a casa per pranzo, il signore in giacca e cravatta va in ufficio; poi ce n’è un’altro che sopra la giacca porta un gilè imbottito leggero, forse dopo il lavoro si attarderà per un aperitivo o andrà a cena fuori.
Seduto alla destra della ragazza c’è un ragazzo; jeans, felpa grigia con cappuccio calata sulle spalle, maglietta sformata che lascia intravedere una parte di un grosso tatuaggio sulla schiena. Berretto rosso con visiera nera, da cui escono i due fili bianchi che fanno pensare ad un collegamento diretto del cervello con il suo Apple-device bianco con una cover rossa dove spicca la scritta bianca Campari. Il mio cervello immagina. Immagina che quel collegamento non serve a far salire i suoni e i ritmi che rallegrano la sua vita, rendendo meno grigio il mondo che frequenta. Invece il dispositivo nelle sue mani contiene una mistura di una droga segreta che lo mantiene in vita, creata dallo sponsor della sua cover, lo rende inconsapevole schiavo della stessa. È una sostanza che fa pronunciare automaticamente “Un Negroni”, quando un agente segreto, generalmente vestito di nero con una fascia in vita, gli chiede “che prendi?”.
“Signora, prego.”, dice la ragazza alzandosi, “non mi ero accorta!”.
“No, no non si preoccupi, non c’é bisogno”
“Ma no, no, sieda”
“Non è lei che deve alzarsi”, dice la signora con l’impermeabile mentre, convinta, si siede. È nel sedersi che si aggiusta l’impermeabile e solo allora vedo quello che aveva notato la ragazza: la signora è incinta. Il viaggio prosegue. Lei, pressata dalla folla, con una mano regge il suo trolley e l’altra allungata verso l’alto riesce appena ad aggrapparsi con tre dita ed evitare di cadere.
Il ragazzo resta assorto, assorbito dalla trasfusione della sostanza misteriosa, non si accorge di quello che accade. Il fluido che entra nel cervello gli impedisce di attivarsi, di fare un gesto; anzi sembra che l’effetto del breve scambio di battute, e di posto, sia solo quello di farlo diventare più impietrito assente. Anche se i suoi occhi incrociano i movimenti della ragazza, al limite della caduta, è evidente che il cervello non è più in grado di elaborarne i segnali ricevuti. Non agisce, non può più agire. Forse crescerá, invecchierá, ma oramai il suo cervello è destinato a rispondere solo agli stimoli delle sostanze misteriose, trasportate da quei fili bianchi, spruzzate negli occhi da quegli schermi luminosi.
Il ragazzo è solo uno di quei morti viventi che si aggirano per il paese, che non reagiscono alla realtà che li circonda, che non incidono sulla realtà che li circonda.
Anche oggi in ufficio con la metro, solo posto in piedi. Davanti a me una ragazza, che quando la vedi non ti viene certo in mente l’aggettivo alto. In piedi alla mia sinistra, una signora con un impermeabile legge un libro. L’autunno è una stagione strana e quest’anno ancor di più, la mattina l’abbigliamento ti dice cosa faranno. Il ragazzo in maglietta torna a casa per pranzo, il signore in giacca e cravatta va in ufficio; poi ce n’è un’altro che sopra la giacca porta un gilè imbottito leggero, forse dopo il lavoro si attarderà per un aperitivo o andrà a cena fuori.
Seduto alla destra della ragazza c’è un ragazzo; jeans, felpa grigia con cappuccio calata sulle spalle, maglietta sformata che lascia intravedere una parte di un grosso tatuaggio sulla schiena. Berretto rosso con visiera nera, da cui escono i due fili bianchi che fanno pensare ad un collegamento diretto del cervello con il suo Apple-device bianco con una cover rossa dove spicca la scritta bianca Campari. Il mio cervello immagina. Immagina che quel collegamento non serve a far salire i suoni e i ritmi che rallegrano la sua vita, rendendo meno grigio il mondo che frequenta. Invece il dispositivo nelle sue mani contiene una mistura di una droga segreta che lo mantiene in vita, creata dallo sponsor della sua cover, lo rende inconsapevole schiavo della stessa. È una sostanza che fa pronunciare automaticamente “Un Negroni”, quando un agente segreto, generalmente vestito di nero con una fascia in vita, gli chiede “che prendi?”.
“Signora, prego.”, dice la ragazza alzandosi, “non mi ero accorta!”.
“No, no non si preoccupi, non c’é bisogno”
“Ma no, no, sieda”
“Non è lei che deve alzarsi”, dice la signora con l’impermeabile mentre, convinta, si siede. È nel sedersi che si aggiusta l’impermeabile e solo allora vedo quello che aveva notato la ragazza: la signora è incinta. Il viaggio prosegue. Lei, pressata dalla folla, con una mano regge il suo trolley e l’altra allungata verso l’alto riesce appena ad aggrapparsi con tre dita ed evitare di cadere.
Il ragazzo resta assorto, assorbito dalla trasfusione della sostanza misteriosa, non si accorge di quello che accade. Il fluido che entra nel cervello gli impedisce di attivarsi, di fare un gesto; anzi sembra che l’effetto del breve scambio di battute, e di posto, sia solo quello di farlo diventare più impietrito assente. Anche se i suoi occhi incrociano i movimenti della ragazza, al limite della caduta, è evidente che il cervello non è più in grado di elaborarne i segnali ricevuti. Non agisce, non può più agire. Forse crescerá, invecchierá, ma oramai il suo cervello è destinato a rispondere solo agli stimoli delle sostanze misteriose, trasportate da quei fili bianchi, spruzzate negli occhi da quegli schermi luminosi.
Il ragazzo è solo uno di quei morti viventi che si aggirano per il paese, che non reagiscono alla realtà che li circonda, che non incidono sulla realtà che li circonda.