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Capita all’improvviso, come al mare. Quando si nuota sopra i fondali scogliosi, nell’acqua limpida e ci si vuole fermare. Guardi attorno, scegli tra i colori scuri delle rocce, quello che sembra più vicino, più facile da arrivarci. Rallenti, allunghi le gambe, stendi i piedi per trovare il sostegno. Improvviso il dolore, no i dolori. Tre, cinque, dieci aculei di riccio penetrano nella carne con un dolore lancinante. La sosta diventa annaspare, tenti un’altro sostegno con l’altro piede. Il dolore è pungente, le spine spezzate sono nel piede, appena si appoggia aumenta, perchè entrano un più a fondo. Per avere sollievo devi tenere il piede sollevato.

Ecco, tranne l’ultima parte, quella del sollievo, per me è cosí, ma senza il mare, senza I ricci, senza aculei da togliere per star meglio. Improvviso mi arriva il dolore degli aculei. Sono spilli che pungono senza preavviso, dove decidono loro: sull’alluce, sotto la pianta del piede, sul tallone, ma anche sui polpastrelli delle mani, pollice e indice i preferiti. Spilli invisibili che ti svegliano di notte mentre dormi, o ti aggrediscono mentre cammini sui sanpietrini e non sai se stai calpestando qualcosa o se sono loro.

Se stai comodo afferri il piede, stringi la mano; massaggi, sfreghi, batti, sperando che lo stimolo alla circolazione, il movimento, facciano qualcosa ai nervi. Solleciti qualche diverso input al cervello sperando che interpreti come inesistente il dolore. Se, come oggi, sei in fila per pagare il ticket, per le analisi, cerchi di battere i piedi, di sederti, aspetti che la conosciuta compagnia sparisca. E sparisce, dopo due, cinque minuti sparisce. Ormai non resta che dirle “arrivederci, a dopo!”, come ad un compagno di strada.

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