Gli abiti, la pettinatura, le scarpe; ma anche l’andatura, la posizione e l’espressione del volto, il tono della voce e le parole usate, sono tutti segni che danno forma alla prima impressione su di noi. Sono anche i segni che mandiamo al mondo per dire a tutti “ecco io sono così”. Sono segni che sappiamo modificare ed adattare, per cambiare a nostro piacere il messaggio “ecco io sono così”. Lo cambiamo a seconda del nostro umore, del posto in cui siamo o dell’impressione che vogliamo dare. Le nostre carte da giocare nella partita delle relazioni, carte con cui sappiamo bluffare abilmente.
Ma come tanti bluff, dopo alcuni giri di carte vengono scoperti, così i nostri segni vengono messi in ombra da altri segni che mostrano aspetti più genuini di noi. Nel quotidiano, al lavoro, a scuola, a casa, lasciamo dei segni che rappresentano le tracce della nostra esistenza vera senza finzioni e senza schermi. Non più un messaggio diretto che dice “ecco io sono così” e che arriva prima di essere conosciuti, ma un residuo del nostro passaggio che dice “sono proprio io questo qui”, “questo identifica la mia presenza”.
Ecco che piccoli ed insignificanti residui della nostra esistenza, formano un’impressione di noi, nelle persone che frequentiamo ogni giorno, più vera, più nuda. Residui veramente insignificanti se presi isolati, ma giudici inflessibili di come siamo, quando sono collegati a noi. Quindi il tubetto di dentifricio non chiuso, il cassetto aperto, la maglia lasciata sulla sedia, la risposta secca, i patti abbandonati sul tavolo, non aggiungere “per favore” alla richiesta fatta, non salutare; di per sé non sono un dramma, ma ripetuti ogni giorno, fatti trovare di continuo, come gli odori lasciati dai cani per marcare il territorio, diventano “noi” agli occhi degli altri.
Dicono “chi è stato qui, se ne frega di me”, “qui è passato lui/lei”. Sul lavoro creano i gruppi o isolano le persone. In famiglia alimentano (inutilmente o meno, dipende dai casi) i contrasti e le discussioni. Nelle coppie, alla lunga, diventano oggetto di discussioni e scintille per innescare litigi. Contrasti e liti che sembrano farse se analizzati isolatamente; che io sappia nessuno è morto, si é ferito o è andato in rovina per un tappo di dentifricio non chiuso. Ma sono benzina per il fuoco delle incomprensioni.
Ecco, io penso che in questi casi, se gli attriti non nascondono cause o ferite più profonde, non si può non agire sui due fronti. Chi schizza come un gatto i propri odori deve dare, anzi darsi, la risposta onesta a queste domande: “è così che voglio essere?”, “voglio veramente dire questo a le persone che mi circondano?”. E non prendiamoci in giro con la risposta sbrigativa e infantile “si”: è un comodo nascondiglio. In questo caso dobbiamo dire “si, perché …..”, dove il perché deve essere veramente convincente e formare una linea di azione. Noi e solo noi siamo gli autisti della nostra vita, non sono ammesse distrazioni.
Chi trova le nostre tracce invece ha molte scelte. Può farcelo notare, perché sa che siamo migliori rispetto a quello che dicono i segni che distrattamente lasciamo in giro. Può farcelo notare in modo ossessivo, ed è una richiesta di attenzioni. Può notarlo, porre rimedio e sorridere pensando che è il segno della vicinanza della persona amata. Può ignorarlo; ma non illudiamoci, non per questo quei piccoli segni smetteranno di dire al mondo come siamo veramente.Gli abiti, la pettinatura, le scarpe; ma anche l’andatura, la posizione e l’espressione del volto, il tono della voce e le parole usate, sono tutti segni che danno forma alla prima impressione su di noi. Sono anche i segni che mandiamo al mondo per dire a tutti “ecco io sono così”. Sono segni che sappiamo modificare ed adattare, per cambiare a nostro piacere il messaggio “ecco io sono così”. Lo cambiamo a seconda del nostro umore, del posto in cui siamo o dell’impressione che vogliamo dare. Le nostre carte da giocare nella partita delle relazioni, carte con cui sappiamo bluffare abilmente.
Ma come tanti bluff, dopo alcuni giri di carte vengono scoperti, così i nostri segni vengono messi in ombra da altri segni che mostrano aspetti più genuini di noi. Nel quotidiano, al lavoro, a scuola, a casa, lasciamo dei segni che rappresentano le tracce della nostra esistenza vera senza finzioni e senza schermi. Non più un messaggio diretto che dice “ecco io sono così” e che arriva prima di essere conosciuti, ma un residuo del nostro passaggio che dice “sono proprio io questo qui”, “questo identifica la mia presenza”.
Ecco che piccoli ed insignificanti residui della nostra esistenza, formano un’impressione di noi, nelle persone che frequentiamo ogni giorno, più vera, più nuda. Residui veramente insignificanti se presi isolati, ma giudici inflessibili di come siamo, quando sono collegati a noi. Quindi il tubetto di dentifricio non chiuso, il cassetto aperto, la maglia lasciata sulla sedia, la risposta secca, i patti abbandonati sul tavolo, non aggiungere “per favore” alla richiesta fatta, non salutare; di per sé non sono un dramma, ma ripetuti ogni giorno, fatti trovare di continuo, come gli odori lasciati dai cani per marcare il territorio, diventano “noi” agli occhi degli altri.
Dicono “chi è stato qui, se ne frega di me”, “qui è passato lui/lei”. Sul lavoro creano i gruppi o isolano le persone. In famiglia alimentano (inutilmente o meno, dipende dai casi) i contrasti e le discussioni. Nelle coppie, alla lunga, diventano oggetto di discussioni e scintille per innescare litigi. Contrasti e liti che sembrano farse se analizzati isolatamente; che io sappia nessuno è morto, si é ferito o è andato in rovina per un tappo di dentifricio non chiuso. Ma sono benzina per il fuoco delle incomprensioni.
Ecco, io penso che in questi casi, se gli attriti non nascondono cause o ferite più profonde, non si può non agire sui due fronti. Chi schizza come un gatto i propri odori deve dare, anzi darsi, la risposta onesta a queste domande: “è così che voglio essere?”, “voglio veramente dire questo a le persone che mi circondano?”. E non prendiamoci in giro con la risposta sbrigativa e infantile “si”: è un comodo nascondiglio. In questo caso dobbiamo dire “si, perché …..”, dove il perché deve essere veramente convincente e formare una linea di azione. Noi e solo noi siamo gli autisti della nostra vita, non sono ammesse distrazioni.
Chi trova le nostre tracce invece ha molte scelte. Può farcelo notare, perché sa che siamo migliori rispetto a quello che dicono i segni che distrattamente lasciamo in giro. Può farcelo notare in modo ossessivo, ed è una richiesta di attenzioni. Può notarlo, porre rimedio e sorridere pensando che è il segno della vicinanza della persona amata. Può ignorarlo; ma non illudiamoci, non per questo quei piccoli segni smetteranno di dire al mondo come siamo veramente.